All’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, competenza specialistica e cura attenta si intrecciano in un modello di eccellenza che coniuga rigore scientifico e delicatezza nel rapporto con i piccoli pazienti.
Tra approccio multidisciplinare, tecnologie sempre più avanzate e dialogo costante con famiglie e bambini, emergono le chiavi di un percorso di cura che fa dell’eccellenza medica non solo un obiettivo, ma un vero e proprio punto di partenza per il benessere globale dei piccoli pazienti.
Ne parliamo insieme al Dottor Valerio Balassone, gastroenterologo pediatrico che opera presso il Bambino Gesù e nostro riferimento di fiducia qui in Eccellenza Medica in un’intervista a cura di Roberta Sestito.

Dottor Balassone, partiamo dalle origini: cosa l’ha condotta a scegliere la gastroenterologia pediatrica, una disciplina che unisce la complessità internistica alla delicatezza del mondo infantile?
"Sebbene di background chirurgico, sono rimasto folgorato dal modello multidisciplinare e centrato sul paziente che ho conosciuto durante una rotazione nel mio primo anno di specializzazione. Ho capito che la chirurgia e l’endoscopia sono due facce della stessa medaglia. Anche in Giappone, presso il centro del Prof. H. Inoue funzionava allo stesso modo. Poi c’è stato un mentore, il Dott. Luigi Dall’Oglio, che mi ha guidato nella transizione dal mondo degli adulti alla pediatria all’interno di una equipe poliedrica".
L’apparato digerente è, per così dire, un sistema in divenire. Quali peculiarità fisiologiche e cliniche lo distinguono da quello dell’adulto, e in che misura tali differenze orientano il suo approccio diagnostico e terapeutico?
"La grande differenza che ho imparato sta nel diverso ventaglio diagnostico e nelle aspettative di una famiglia e di un paziente che vuole crescere, andare alla gita nonostante il problema. Non c’è il congedo straordinario per l’infanzia e ciò impronta la gestione e rende anche più difficile la possibilità di insegnare ciò che si conosce agli altri colleghi più giovani".
L’endoscopia pediatrica, ambito nel quale l’Ospedale Bambino Gesù rappresenta un punto di riferimento d’eccellenza, è tra le aree più complesse e delicate della disciplina. Come si prepara e si conduce un esame su un piccolo paziente, e quali attenzioni vengono poste per garantirne comfort e sicurezza?
"C’è il lavoro prezioso del personale infermieristico pediatrico, dell’anestesista pediatrico e dell’esaminatore, che adatta dispositivi e strumenti non appositamente progettati alle caratteristiche del paziente. È un lavoro di equipe che è iniziato da prima che io nascessi e che tuttora rappresenta un primato per complessità e volumi di attività a livello globale".
La tecnologia continua a ridefinire i confini della pratica medica. Quali innovazioni strumentali o metodologiche hanno maggiormente trasformato l’endoscopia pediatrica negli ultimi anni?
"Sicuramente l’ecoendoscopia è la metodica che ha maggiormente rivoluzionato la gastroenterologia degli ultimi 20 anni, prima nel mondo degli adulti e più recentemente in campo pediatrico. È altamente richiesta ma difficile da divulgare in un setting puramente pediatrico. È fondamentale un confronto continuo con i colleghi dell’adulto sia per la formazione dei pediatri e la simulazione diventa cruciale prima per l’implementazione di nuove tecniche in sicurezza".
Comprensibilmente, per molti genitori l’idea di un esame endoscopico suscita apprensione. Lei sa quanto sia stato per me motivo di gioia avere un riferimento pediatrico in Eccellenza Medica: lei rappresenta presenza che ho fortemente voluto e che considero di grande valore umano e professionale. Come si costruisce, secondo lei, un dialogo di fiducia con la famiglia, affinché la procedura venga vissuta come un atto di cura e non di paura?
"La convinzione nel proporre una procedura invasiva ad un bambino deriva dalla correttezza dell’indicazione e dalla consapevolezza dell’esperienza. La famiglia percepisce la robustezza del setting che la circonda e ogni aspetto contribuisce a farli sapere che sono nel posto giusto".
La visita gastroenterologica è il primo atto clinico e relazionale dell’intero percorso di cura. Quali elementi ritiene essenziali per una valutazione efficace – dall’anamnesi alla lettura dei segni clinici, fino alla comunicazione con il piccolo paziente e la sua famiglia – affinché la diagnosi sia non solo accurata ma anche umanamente fondata?
"Bisogna sapere che anche un sintomo banale, se non compreso e gestito, può rappresentare per la famiglia un problema insormontabile. Basta immaginare un bambino che ha la pancia troppo gonfia perché non riesce ad evacuare. Per quanto di competenza serve un punto di riferimento, che sappia interfacciare col pediatra curante o con gli altri specialisti eventualmente necessari".
Nella sua esperienza, quali consigli si sente di offrire ai genitori per tutelare la salute gastrointestinale dei figli, prevenire disturbi frequenti e promuovere, sin dall’infanzia, corrette abitudini alimentari e comportamentali?
"Bisogna porre attenzione ai sintomi se precludono la crescita o le normali attività quotidiane. Una buona educazione nutrizionale è spesso l’investimento a lungo termine più fruttuoso che si possa fare".
Guardando avanti, e partendo dall’esperienza di un centro d’eccellenza come il Bambino Gesù, quali prospettive intravede per il futuro della gastroenterologia pediatrica — sul piano tecnologico, scientifico e, non ultimo, umano?
"Sicuramente le aziende produttrici di endoscopi e strumentazione stanno capendo che serve una risposta al mondo del bambino che è in continua espansione. Inoltre stiamo integrando l’intelligenza artificiale nella diagnosi e nella terapia, abbiamo un progetto sul suo utilizzo per il training asincrono dei pediatri".
Ho scelto scientemente di non porre subito una domanda di carattere più personale. Le chiedo ora: c’è qualcosa di personale, un pensiero o un sentimento, che desidera condividere e che dia voce all’uomo, oltre che al medico, accanto ai piccoli pazienti?
"Nessuno dei mentori che nel tempo ho avuto l’onore di seguire è stato geloso con me della sua arte. Restituire questo sapere, arricchito dal nostro vissuto, ai pazienti ed ai giovani colleghi è parte naturale di un processo con radici antiche ma strumenti nuovi".

