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Dott. Giuseppe Grassi: "IBS, la malattia invisibile: quando i disturbi intestinali non sono solo stress"

La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) rappresenta una patologia articolata e spesso sottovalutata, che può compromettere in modo significativo la qualità della vita dei pazienti. 


Per fornire un quadro esaustivo ed autorevole su questa condizione, abbiamo intervistato il Dott. Giuseppe Grassi, specialista in gastroenterologia nonché medico accreditato Eccellenza Medica, portale di prenotazioni mediche online presso centri di eccellenza accreditati e selezionati. 


Attraverso la sua consolidata competenza, il Dottore ci accompagnerà nell’illustrazione dei principali aspetti clinici e terapeutici dell’IBS, offrendo risposte puntuali alle domande più frequenti dei pazienti.


intervista dott giuseppe grassi gastroenterologo


Dottore, la Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) è una condizione molto diffusa ma spesso sottovalutata: ci può spiegare in parole semplici che cos’è l’IBS e quali sono i sintomi principali?


"La Sindrome dell’Intestino Irritabile (IBS) è un disturbo dell’interazione intestino–cervello (DGBI): l’intestino è strutturalmente sano, ma vi è una disfunzione delle vie che regolano motilità, sensibilità viscerale, sistema immunitario di mucosa e microbiota. Per diagnosi usiamo criteri Rome IV: dolore addominale ricorrente almeno 1 giorno a settimana negli ultimi 3 mesi (esordio ≥6 mesi) associato ad almeno 2 tra: relazione con la defecazione, variazione della frequenza, variazione della forma delle feci. Vi sono dei sottotipi: IBS-D (diarrea), IBS-C (stipsi), IBS-M (forme miste), IBS-U (non definita). Tra i sintomi tipici abbiamo: dolore/fastidio addominale, gonfiore/distensione, alvo irregolare, senso di svuotamento incompleto; frequenti comorbilità funzionali (dispepsia) e ansia/sonno alterato". 


L’IBS può avere un impatto significativo sulla qualità della vita. Quali sono le difficoltà più ricorrenti che i pazienti le riferiscono? 


"L’impatto sulla qualità della vita è elevato: assenze dal lavoro/studio, limitazioni sociali e sportive, interferenza con la sfera emotiva e col sonno. Molti pazienti riferiscono “imprevedibilità” dell’alvo, urgenza defecatoria, imbarazzo per il gonfiore e dieta iper-restrittiva “fai-da-te”, con peggioramento nutrizionale e ansia anticipatoria. Un approccio empatico e validante è parte della terapia". 


Molti pazienti arrivano alla diagnosi solo dopo anni di visite ed esami. Qual è oggi il percorso più efficace per diagnosticare correttamente l’IBS, evitando indagini inutili?


"Oggi facciamo diagnosi positiva (non per esclusione) combinando:


  • Storia clinica + visita con criteri Rome IV, mappa dei sintomi e Bristol Stool Scale;
  • Esami mirati in base al fenotipo: emocromo; calprotectina fecale o PCR per escludere IBD nelle forme diarroiche; sierologia celiaca (IgA totali + anti-tTG) nelle IBS-D/IBS-M; parassitologici solo se fattori di rischio;
  • Colonscopia non di routine nei <50–55 anni senza allarmi; indicata se red flags (calo ponderale, anemia sideropenica, sanguinamento, febbre, familiarità per CRC/IBD/celiachia, insorgenza tardiva, sintomi notturni) o per screening in fascia d’età raccomandata;
  • Evitare pannelli allergologici aspecifici, test “intolleranze” non validati e breath test in serie senza indicazione".  


L’approccio terapeutico all’IBS può essere personalizzato? E che ruolo ha l’alimentazione nel controllo dei sintomi?


"Assolutamente. IBS richiede piano su misura, combinando educazione, dieta, farmaci e interventi mente-intestino.


  • Dieta: la low-FODMAP in 3 fasi (restrizione 4–6 settimane, reintroduzione graduale, personalizzazione) è l’approccio con più evidenza per dolore e gonfiore; va seguita con dietista per evitare carenze e iper-restrizioni. Le fibre solubili (psyllium) aiutano; le insolubili possono peggiorare gonfiore. I probiotici hanno risultati eterogenei: non raccomandati “di default”;
  • Farmaci (selezione per fenotipo):
    • IBS-D: loperamide per la diarrea (non sul dolore), rifaximina a cicli per sintomi globali, valutazione di sequestranti degli acidi biliari se malassorbimento; nei casi con dolore prevalente TCA (a basse dosi);
    • IBS-C: linaclotide (e altri secretagoghi dove disponibili) e lassativi osmotici (macrogol) per la stipsi; SSRI/SNRI o TCA a seconda del profilo di dolore/ansia e del tipo di alvo;
    • Dolore/gonfiore: olio di menta piperita a rilascio intestinale e antispastici scelti caso per caso;
  • Psicologia e asse intestino-cervello: CBT, ipnosi diretta all’intestino e tecniche di gestione dello stress migliorano i sintomi globali e la qualità di vita;
  • Altri interventi: attività fisica regolare, igiene del sonno; riabilitazione del pavimento pelvico se dissinergia defecatoria in overlap".  


Dottor Grassi, possiamo dire che attorno all’IBS circolano ancora molti falsi miti? Quali sono quelli che è importante sfatare per aiutare davvero i pazienti?


"Gliene elenco alcuni. 


  • È solo stress”: l’IBS è un DGBI con basi biologiche (ipersensibilità viscerale, micro-infiammazione, microbiota). Lo stress può modulare i sintomi, non “inventarli”;
  • Serve sempre la colonscopia”: non nei pazienti giovani senza allarmi; meglio una valutazione mirata e test non invasivi;
  • È uguale all’IBD” o “porta al cancro”: falso; l’IBS non aumenta il rischio oncologico;
  • Basta togliere il glutine/lattosio per tutti”: eliminazioni indiscriminate non sono evidence-based; vanno testate personalmente e reintrodotte se non utili".  


Lei opera in una struttura d’eccellenza come l’Ospedale Cristo Re di Roma. Quanto è rilevante, in casi come questi, poter contare su un approccio realmente multidisciplinare e su di un percorso clinico strutturato con rigore e competenza?


"Nei casi complessi servono percorsi strutturati:


  • Gastroenterologo per diagnosi positiva e regia terapeutica;
  • Dietista clinico per la low-FODMAP corretta;
  • Psicologo per CBT/ipnosi;
  • Fisioterapista del pavimento pelvico nei disturbi dell’evacuazione;
  • Supporto di radiologia/endoscopia quando indicato.


Questo modello riduce esami inutili, ottimizza aderenza e outcome". 


È importante che io le ponga questo quesito: molti pazienti tendono a convivere con i sintomi senza cercare un aiuto medico. Quando è davvero il momento di rivolgersi a uno specialista?


"Subito, se compaiono segnali d’allarme: sanguinamento, anemia, calo ponderale, febbre, familiarità per CRC/IBD/celiachia, esordio >50 anni, risveglio notturno per dolore/diarrea, anomalie ematochimiche. Presto, se i sintomi durano >4–6 settimane, impattano su vita/lavoro/sport, o se diete “fai-da-te” e farmaci da banco non hanno funzionato. Lo specialista conferma la diagnosi, stratifica i rischi e costruisce un piano personalizzato".  


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